Concilio Vaticano II e Papa Benedetto XVI

Papa Giovanni XXIII nacque da poverissima gente, e, forse, per questo motivo, comprendeva più di ogni altro, le necessità del prossimo. Le spese per studiare, ed in seguito, quelle per il seminario gli furono , infatti, pagate da un prozio.

Nato nel 1881, dopo infiniti incarichi che gli valsero la stima degli ebrei, l’amore dei protestanti, per la sua veneranda età, e come Patriarca di Venezia, fu scelto, nel 1958, come Papa di transizione, essendo così l’ala tradizionalista del Vaticano sicura che non avrebbe avuto l’autorità per opporsi a tutte le manovre di potere dei Cardinali della Curia.

Al contrario, nella sua umiltà, conosceva il cuore umano, più di ogni altro prelato di alto lignaggio. A sera, portate un bacio del Papa ai vostri bambini, è il bacio del Papa, sono le parole che sono rimaste scolpite nel cuore di tutti.

Il 30 Giugno del 1959 propose, in maniera decisa, la convocazione di un nuovo Concilio, che venne chiamato Concilio Vaticano II, per affrontare le tante contingenze del mondo in continua evoluzione, ed anche perché anche tutti i fratelli separati, invitati, sentissero un nuovo richiamo all’unità.

Aprendo il Concilio l’11 Ottobre del 1962, auspicò un rinnovamento nella vita della missione della Chiesa, conformemente ai suoi sacri principi, ed alla sua immutabile dottrina, ma in modo rispondente alla esigenze dei tempi, senza pronunciarsi con sentenze dogmatiche o straordinarie, ma, con voce di carità pastorale, impegnando le coscienze di tutti uomini, e parlando a tutte le nazioni ed alle varie componenti della società, indipendentemente dal loro colore politico.

Ad ogni severità, preferiva la medicina della misericordia e, nelle sue finalità pastorali, rientrava il dialogo con i Fratelli separati, ed il mondo moderno, definendo il Concilio come il Concilio di tutte le Chiese, il concilio dell’uomo fenomenico attuale, della intera famiglia umana, nel contesto di tutte quelle realtà entro le quali è costretta a vivere, preparando soprattutto la Chiesa al passaggio dal secondo al terzo millennio.

Alla sua prematura morte, tutto il mondo si commosse, ne fu addolorato, ed ogni persona si senti come privata di un affettuoso genitore, un amato nonno.

Tra l’altro, propose che nella Messa si parlasse nelle lingua della gente, non escludendo il latino, perché la gente comune potesse capire ogni liturgia. Impose che i sacerdoti, non dessero le spalle ai fedeli, in quanto essi erano la “ecclesia”, ma ne fossero sempre di fronte, facendo disporre i nuovi altari al cospetto di quanti partecipavano alle varie funzioni.

Ho comprato, invece, la pubblicazione di Papa Benedetto XVI, “Gesù di Nazareth”, ma trovato lo scritto troppo per eruditi, soprattutto per teologi, professori di filosofia, e, quindi, non posso far a meno di ricordare che la maggioranza della Cristianità è composto da persone non in grado di comprendere la cultura, la grandezza di questo Papa, che, secondo il mio pensiero, si rivolge soprattutto alle persone elette, tornando forse indietro nel tempo.

La Chiesa, ai suoi primordi ricordo, parlava in greco , Gesù parlava in amarico, e solo quando Roma diventò la “Caput mundi” il latino divenne la lingua ufficiale della Chiesa Cattolica Romana, tranne I’ Ortodossa.

E parole sono rimaste nella attuale liturgia “Kyrieleison”, Signore Pietà, “Cristeeleison”, Cristo pietà, o la parola ebrea “Alleluia”, sia lodato Yahweh, per contrazione Yaf. La nostra parola Dio, è bene ricordarlo, deriva dal latino “Divus”, ossia divinità, cosi come Geova, Allah, secondo il proprio modo di parlare, ma con lo stesso significato.

Orbene tornare in tutte le chiese, in tutte le nazioni, al latino, lingua perfetta ed unificante, da studiare efficacemente soprattutto da tutti i seminaristi, sembra, per molti fedeli, tornare a non comprendere tutto.

Ho interrogato alcuni dotti prelati che, onestamente, hanno confessato di aver dimenticato, non nello scrivere, o nel leggere, ma nel declamare, molte parole latine del passa.

Confesso che, ogni Capodanno, mi reco a sentire a sentire, nella Basilica di Santa Maria Maggiore di Roma, , detta anticamente “ad Presepem”, la messa cardinalizia delle ore dieci, tutta in Gregoriano, ed è per me un vero godimento perché, come licealista del classico, ricordo molte delle parole latine, ma sono invece molte le frasi che mi sfuggono. Non tutti conoscono il latino e, secondo il mio pensiero, sarebbe preferibile far conoscere, nel catechismo, almeno le più importanti preghiere: Padre Nostro, Credo, Ave Maria, Gloria Patri, l’Eterno riposo, Confiteor, e far imparare ai fedeli le risposte più semplici, come la Parola ebraica “Amen”, che significa “certo, in verità, cosi sia”, da trascrivere, poi, nel foglio che viene distribuito ai presenti, per seguire le quattro parti della Santa Messa.

Forse una volta al mese, o nelle feste principali, nei piccoli paesi, sarebbe bello risentire la Liturgia authenticam, ma non cambiare l’attuale modo, comprensibile, di partecipare alle sacre funzioni.

Inoltre dire che i protestanti non sono una chiesa, anzi nemmeno una religione, perché mancano di sacerdoti capaci di consacrare l’Eucarestia, un cambiamento imprevisto al Concilio Vaticano II. Mezzo secolo di dialogo ecumenico perduto con i luteriani, ed i protestanti tutti, che pur conservano gelosamente la Bibbia.

Giovanni XXIII inaugurò uno stile personale, usando l’umile “Io” al posto dell’impersonale “pluralis maiestatis” Noi , e fu salutato come il Papa buono anche dal PCI, seguito da Giovanni Paolo II che chiese perdono per tutti gli errori del passato della Chiesa, Galileo, Savonarola, perdono agli ebrei, perseguitati da duemila anni, con un tale successo mediatico e sentimentale, visitando moschee, sinagoghe, l’Onu, da riuscire a diventare, in qualche modo, il Papa di tutta l’umanità, della libertà, dei diritti dell’uomo. Ancor oggi la sua tomba è ricoperta di fiori, di immense file di fedeli in preghiera.

Ci auguriamo che Benedetto XVI sia più tollerante, più aperto, perché un attento pastore deve preoccuparsi più delle pecore smarrite, che del gregge già affidato alla guida di tanti sacerdoti, dei tanti prelati che portano ogni giorno la Croce.